Il 9 Giugno 2021 ricorre il 12° Anniversario dalla scomparsa di Don Marino Pigozzi che ricorderemo con una SantaMessa mercoledì 9 giugno alle ore 18.00 presso la Chiesa Parrocchiale di Avesa. Sfogliando la raccolta dei giornalini del Gav ci è capitato tra le mani questo scritto del 2010 di Domenico Pighi, che vogliamo condividere con voi, per mantenere viva la memoria di un prete e un uomo il cui esempio, ancora oggi, orienta i valori e le azioni del Gruppo Giovani Amici Veronesi
Correva l’anno 1955 quando nella cattedrale di Verona alla presenza di sua eccellenza monsignor Giovanni Urbani vescovo di Verona, Marino Pigozzi veniva ordinato sacerdote. Era un appassionato della vita, la inseguiva, la abbracciava, la propagava. Dinamismo, sfida, lotta, coraggio, entusiasmo, fiducia, alcuni tra le parole che più gli si addicevano, ma il tutto senza voli pindarici ancorato bene in terra, concreto, alle volte fino al parossismo.
Uomo a 360 gradi, tutto lo attraeva, i suoi interessi non si possono contare. Le sue indubbie qualità manageriali che forse aveva ereditato dal suo essere stato allievo salesiano, figlio di Don Bosco, le ha messo a frutto nel costruire le comunità di Ca’ Paletta, di Castagnè, di Zagarolo a Roma, la casa famiglia di Avesa, La Fattoria sociale di Oppeano, la casa per ex carcerati di Angiari quella in via di definizione di Aselogna e qualcos’altro che probabilmente dimentico.
I suoi “giocattoli” come lui amava definirli, che con enorme dispendio di energie aveva ideato, costruito e stava portando avanti. “Res non verba” soleva dire, “fatti e non parole” e questa ne è stata la più evidente dimostrazione.
Una frase del vangelo che lo aveva colpito e che lo ha accompagnato per tutto il suo sacerdozio è stata: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi perderà la propria vita per causa mia la salverà” e così ha cominciato a perderla a favore degli ultimi.
Prima come cappellano delle carceri poi a favore dei tossicodipendenti infine con la scelta verso il disagio psichico, una scelta che pochi in verità sono disposti a fare.
Avrebbe voluto spalancare le porte a tutti perché la sua passione per l’uomo e soprattutto per l’uomo sofferente era grande, in lui palpitava il cuore di Cristo che provava compassione per il suo popolo perché vedeva che “erano come pecore senza pastore”.
Tante volte ha fatto quello che Gesù ha detto e cioè: “Venite a me voi che siete affaticati e stanchi ed io vi darò ristoro”.
E così si e fatto carico di tanti disagi ed ha assunto su di sé tanti altrui problemi. Don Marino era prete di strada ma anche uomo di preghiera. Chi entrava nel suo studio, oltre che il suo breviario sgualcito, poteva trovare sparsi sui tavoli o sugli scaffali della sua biblioteca libri di mistici quali Teresa D’Avila, San Giovanni della Croce, biografie di Padre Pio, testi di Spiritualità Orientale, scritti di filosofia.
Il suo animo all’improvviso sapeva ritirarsi ed entrare in un giardino interiore per mettersi a contatto con il Trascendente e riattivare così le sue energie spirituali.
Alle volte con lui per il suo carattere non facile ci si poteva anche scontrare, ma se tutto questo lo mettiamo a confronto con la sua grande carità, la sua disponibilità, i sacrifici che ha saputo sopportare, da che parte può pendere la bilancia?
Don Marino non ha mai voluto su di sé e sulle sue opere la luce dei riflettori, amava lavorare alacremente ma nel silenzio, nel nascondimento.
Tanti sono i santi che sono venerati dalla chiesa, esposti sugli altari e citati nei calendari, di altri solo Dio conosce la santità. “Forse è un azzardo, ma che don Marino non sia forse uno di questi”?
Un abbraccio a tutti
dal Gruppo Gav